25 aprile, il segretario del Pri a Genova "Il riscatto dal fallimento della dittatura fascista" di Francesco Nucara Ho scelto di celebrare a Genova il 25 aprile per ricordare la battaglia durissima che liberò la città: quasi due giorni di combattimenti contro le truppe naziste, strada per strada, così da consentire alle truppe americane di entrarvi senza subire ulteriori perdite. La città di Genova ha dimostrato che ha ragione il Capo dello Stato, quando dice che le truppe partigiane furono fondamentali, non solo sotto il profilo militare, perché gli anglo - americani la guerra l'avrebbero vinta comunque, bensì sotto il profilo morale, quello del riscatto dal fallimento politico della dittatura fascista. Il fascismo era stato un fenomeno storico profondo che aveva saputo coinvolgere la maggioranza degli italiani, sollevando entusiasmi e speranze. Pochi furono coloro che ebbero la lungimiranza di opporvisi fin dal suo primo apparire. Noi abbiamo l'onore di poter annoverare nel Pri e nel Partito d'Azione molte di quelle personalità che seppero comprendere immediatamente i rischi a cui il regime di Mussolini esponeva il Paese: Pacciardi, Oronzo Reale, Ugo la Malfa, Parri, Valiani, per citare solo alcuni dei nomi più importanti. Personalità capaci di criticare l'ideologia fascista e di indicare alla società italiana del dopoguerra una prospettiva di democrazia occidentale. La loro fu un'opposizione sotterranea che, sebbene perseguitata, riuscì a resistere fino a guidare il processo della ricostruzione. Se la resistenza militare fu, come a Genova, capace di atti di eroismo, quella politica si dimostrò vitale per il futuro del Paese, perché il fascismo aveva precluso ogni futuro all'Italia. In questi giorni abbiamo assistito ad una polemica sulle "due Resistenze": una preoccupata di combattere il totalitarismo, l'altra intenzionata a sostituire il totalitarismo italiano con quello sovietico. La considero una polemica sbagliata, perché coloro che presero le armi, le presero contro i fascisti e i nazisti e corsero gli stessi rischi, siano essi stati rossi, azzurri, azionisti. E' vero che vi furono casi tragici come quelli di Porzus, dove i comunisti friulani massacrarono i cattolici della brigata Osoppo. Si tratta però di casi limite, anche perché il Partito comunista italiano fu costretto a riconoscere gli accordi di Yalta e quindi l'influenza statunitense sull'Italia. Altra cosa furono invece le rappresaglie nell'immediato dopoguerra, che coinvolsero non solo ex fascisti ma anche antifascisti. Noi perdemmo il nostro Marino Pascoli, ad esempio, che pure il fascismo aveva combattuto armi alla mano. In questi delitti non c'era una strategia rivoluzionaria, bensì la dimostrazione del fallimento di una prospettiva, la vigliaccheria e una forma criminale che nulla avevano a che fare con i valori della Resistenza. Al più c'era la voglia di regolare i conti con il fascismo, anche quando questo aveva smesso di rappresentare una minaccia. "Pietà l'è morta", scriveva in quel tempo Giorgio Amendola sull'"Unità", ma non era nel giusto. Il Pci sbagliò a non colpire con la necessaria durezza, anche quando le armi tacevano, coloro che nelle sue file avevano commesso dei crimini. E peggio, a proteggere o a far fuggire chi quei crimini aveva commesso. E' stata lasciata un'ombra sulla Resistenza, che ha finito per danneggiare la sua memoria storica, la quale resta comunque una sola. Anche per tale motivo ho auspicato fin dal primo momento, avendo l'onore di rappresentare un partito ben esperto di quegli anni, che i partiti nuovi della democrazia italiana si preoccupassero di onorare insieme questa data, riconoscendo il 25 aprile come una festa di tutti gli italiani e di tutta la nazione. Credo sia positivo che il presidente del Consiglio abbia raccolto l'invito, rinunciando alle polemiche, e voglio ben sperare che certi episodi incresciosi, visti nelle piazze negli ultimi anni, non si ripetano. Celebrare il 25 aprile è anche dimostrare di essere degni della Liberazione. |